martedì 4 marzo 2014

Premessa : Scrivo da moltissimi anni e dunque posso dire di fare essere una scrittrice e penso che raramente o quasi mai sia capitato a chi ha fatto o fa questo mestiere di condividere lo stesso luogo di abitazione con tante -troppe persone di tutte le provenienze età e attività . Caso mai il contrario : scrittori e scrittrici parlano di stanze affittate in cui per brevi periodi vivevano. Per questo penso di scrivere, quando avrò raggiunto il necessario distacco, un testo comico dal titolo :”L'intercultura del cesso.”se mai riuscirò ad avere detto distacco perché ieri dalla casa in Lungo Dora a Torino è andata via la centesima coabitante a pagamento ( forse potrebbero essere di più e ma non ho il coraggio di contarli i coabitanti a pagamento ). Lei viene dalla Bielorussia e si chiama Irina . E' stata qui con me dividendo lo stesso cesso e la stessa cucina per 6 mesi ma non so niente di lei se non che frequenta beni culturali all'università e che ha 24 anni. Mai convivenza o per meglio dire coabitazione fu più algida e asettica. Abbiamo pranzato insieme giusto ieri mattina dietro mia insistenza per la prima ed ultima volta perché lei preparava meticolosamente – poiché trattasi di persona meticolosa e ineccepibile dal punto di vista della correttezza- il suo mangiare e poi si ritirava a consumarlo in camera. Per lei la camera era come un appartamento incistato dentro il mio ed io la sua vicina di casa. Incontrandomi nel corridoio o in cucina mi salutava gentilmente e tutto finiva lì. Anzi meno che una vicina di casa perché qualche volta con i vicini capita di scambiare più di un saluto parlando del tempo e della pioggia o di qualche altro vicino sgarbato e via dicendo . Adesso che ci penso alcune parole sul tempo ce la scambiavamo ma sono state le uniche . Mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più del suo paese perché nei miei tanti viaggi non sono mai stata nell'ex unione sovietica, (specie di questi tempi che in quei posti ci sono forti conflitti), ma era uno sforzo tirarle fuori qualche parola di più e non l'ho mai fatto. Forse dieci anni fa mi sarei sforzata ma credo anzi mi sto sempre più convincendo che dopo un certo numero di persone nuove che continuamente ruotano vicino troppo vicino alla tua vita ci sia un limite di sopportazione e di relativo adattamento oltre il quale si rischia l'intolleranza.
Ho avuto forse cinque coabitanti est europee che più o meno si comportavano così e senza pretendere di farne una teoria sociologica, sono giunta a questa conclusione . Coloro che negli anni del comunismo sovietico hanno subito il collettivismo come imposto e non scelto , appena sono riusciti a liberarsi di quella cappa opprimente conquistandosi uno spazio privato per sé e per la propria famiglia, lo hanno difeso e lo difendono con le unghie e con i denti (financo con le armi : non è forse una delle concause del conflitto della ex -Iugoslavia? ). E chi non vive con me peste lo colga...Comunque sia dell'egoismo famigliare son piene le fosse di tutti i paesi del mondo specie occidentale. Don Zeno , fondatore di Nomadelfia ne era ben consapevole e asseriva che l'egoismo famigliare è peggio dell'egoismo individuale e questo io ben conosco avendo vissuto gran parte della mia vita da single, come si dice ora . Ho avuto amici anche vicini che più volte anche se in maniera sottile e delicata mi hanno fatto sentire comunque esclusa dal loro nucleo famigliare, in secondo piano , un outsider, anche se questo è un mio connotato oltre che un altra storia che forse un giorno racconterò, perché ci sono gli outsider e gli insider come ci sono i nomadi e gli stanziali. Tornando all'egoismo famigliare sono anni che proprio per la mia condizione di single ho cercato dei riferimenti di tipo comunitario partecipando agli incontri degli ecovillaggi, alle nove forme di cohousing e via cercando. Forse profeticamente quando insegnavo negli anni cosi detti del movimento uno dei temi che ho iniziato a trattare con la collaborazione dei colleghi architetti era quello delle comunità utopiche da Tommaso Moro, a Campanella, a Fourier alle esperienze americane dei fuoriusciti quaccheri o metodisti delle religioni perseguitate. E già allora il modello della famiglia mononucleare mi stava stretto. Questo modello che nelle situazioni urbane e metropolitane di tutti i continenti è stato vincente. Ricordo che la prima volta che sono stata in Africa avevo letto un libro di un sociologo di nome meilla...che sosteneva che chiunque avesse tentato di imporre il modello mononucleare nel continente era un criminale perché il modello originario africano era quello collettivo tribale dove vigeva la solidarietà tra i membri . Sicuramente anche lì con l'urbanizzazione forzata il modello mo nucleare si è affermato ma questo solo per quanto riguarda le classi medie.
Tornando a me che avendo vissuto gran parte della mia vita da single,come sempre più accade a uomini e soprattutto donne delle città e non solo, e non avendo trovato situazioni comunitarie di riferimento e appartenendo a quella parte di ceto medio che si è proletarizzata ,come già prevedevamo negli anni '70 e non potendo permettermi che una camera cucina e bagno, ho preferito prendere in affitto una casa più grande e condividere le spese con altre persone o come si dice più comunemente subaffittare . Così a Roma per vent'anni dove più che altro ho condiviso con straniere-i ( da qui l'intercultura del cesso ) come a Torino in una casa molto simile stesso corridoio e stesso numero di camere . Nella mia memoria ora ci sono solo gli ultimi subafittatori di quest'ultima perché quelli di Roma gli ho messi tutti nel dimenticatoio, fatta eccezione per le belle amicizie che da quelle convivenze sono nate lì e sono non a caso, in particolare due una è messicana e l'altra è colombina . C'è in quei luoghi un'affettività maggiore e una concezione più allargata dei legami famigliari che ha forti basi culturali e ha resistito nonostante la 'metropolizzazione'. Tornando alle problematiche dell'abitare e delle solitudini metropolitane si sta di questi tempi delineando un nuovo modo di abitare sia pur minoritario che va dal socil housing al cohousing ad una altro esperimento nato a Roma . E per buona sorte, ma mai sorte fu più cercata e forse meritata ci sono delle fumate bianche anche per me che per molti anni della mai vita dopo il periodo che io chiamo di nomadismo metropolitano, sento il bisogno di trovarmi in un porto sicuro, aperto però e non chiuso tra le mura di un appartamento. Un primo segnale simbolico che forse il 'porto' è vicino è arrivato in occasione di un'iniziativa del comune di Torino di cui riporto lo scritto già come si dice ora 'postato'.
Nemesi
Un freddo pungente mi sferzava il viso l'altra mattina scendendo dal tram che mi portava in Via Corte d'Appello . Via Corte d'Appello Sì . Non sarà mica dove un tempo c'era il tribunale ?E come un'onda che sommerge tutto quel che trova, sono arrivati i ricordi di una mattina di quasi trent'anni fa quando in libertà provvisoria entravo nello stesso androne per recarmi nell'aula dove si svolgevano i processi.
' Si intenta causa alla soprascritta per sospetta appartenenza a banda armata ' era scritto sulla convocazione ( all'incirca perché l'ho buttata via ) Ma ora e qui non ci sono i carabinieri e l'andirivieni indaffarato degli avvocati con i loro clienti ansiosi che aspettano il proprio turno del giudizio. C'è soltanto un usciere che indica la direzione per il convegno sulle 'esperienze abitative differenti' indetto tra gli altri dal programma housing della compagnia di S. Paolo . Compagnia compagnie comunità ecovillaggi ecco di cosa si è occupata la sospetta terrorista fin dai primi anni 70, quando una provvisoria riforma della scuola mi aveva permesso di fare un lavoro interdisciplinare con gli architetti ,con conseguente inchiesta sulle case popolari e studio di un modo diverso di organizzazione sociale dall'Utopia di Tommaso Moro alla 'Città del sole', Sette utopie americane e cosi via. Sempre alla ricerca …Ma ora qui non c'è l'utopia bensì le stesse autorità cittadine che ci parleranno di diversi modi di abitare che non siano quelli dei condomini di folle solitarie in cui le porte sono sempre più chiuse. Così ,non più timorosa e ansiosa di sapere quale sarà il verdetto, ma incoraggiata e curiosa per quanto verrà raccontato, entro in quella che fu l'aula del tribunale e proprio lì dietro dove una volta si ergeva il banco dei giudici con sopra scritto 'La giustizia è uguale per tutti', in fondo sul muro c'è la proiezione del manifesto di convocazione in cui insieme all'amica Piera del primo cohounsing di Torino, è ritratta la sottoscritta .