Premessa
: Scrivo da moltissimi anni e dunque posso dire di fare essere una
scrittrice e penso che raramente o quasi mai sia capitato a chi ha
fatto o fa questo mestiere di condividere lo stesso luogo di
abitazione con tante -troppe persone di tutte le provenienze età e
attività . Caso mai il contrario : scrittori e scrittrici parlano di
stanze affittate in cui per brevi periodi vivevano. Per questo penso
di scrivere, quando avrò raggiunto il necessario distacco, un testo
comico dal titolo :”L'intercultura del cesso.”se mai riuscirò ad
avere detto distacco perché ieri dalla casa in Lungo Dora a Torino
è andata via la centesima coabitante a pagamento ( forse potrebbero
essere di più e ma non ho il coraggio di contarli i coabitanti a
pagamento ). Lei viene dalla Bielorussia e si chiama Irina . E' stata
qui con me dividendo lo stesso cesso e la stessa cucina per 6 mesi ma
non so niente di lei se non che frequenta beni culturali
all'università e che ha 24 anni. Mai convivenza o per meglio dire
coabitazione fu più algida e asettica. Abbiamo pranzato insieme
giusto ieri mattina dietro mia insistenza per la prima ed ultima
volta perché lei preparava meticolosamente – poiché trattasi di
persona meticolosa e ineccepibile dal punto di vista della
correttezza- il suo mangiare e poi si ritirava a consumarlo in
camera. Per lei la camera era come un appartamento incistato dentro
il mio ed io la sua vicina di casa. Incontrandomi nel corridoio o in
cucina mi salutava gentilmente e tutto finiva lì. Anzi meno che una
vicina di casa perché qualche volta con i vicini capita di scambiare
più di un saluto parlando del tempo e della pioggia o di qualche
altro vicino sgarbato e via dicendo . Adesso che ci penso alcune
parole sul tempo ce la scambiavamo ma sono state le uniche . Mi
sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più del suo paese perché nei
miei tanti viaggi non sono mai stata nell'ex unione sovietica,
(specie di questi tempi che in quei posti ci sono forti conflitti),
ma era uno sforzo tirarle fuori qualche parola di più e non l'ho mai
fatto. Forse dieci anni fa mi sarei sforzata ma credo anzi mi sto
sempre più convincendo che dopo un certo numero di persone nuove che
continuamente ruotano vicino troppo vicino alla tua vita ci sia un
limite di sopportazione e di relativo adattamento oltre il quale si
rischia l'intolleranza.
Ho
avuto forse cinque coabitanti est europee che più o meno si
comportavano così e senza pretendere di farne una teoria
sociologica, sono giunta a questa conclusione . Coloro che negli anni
del comunismo sovietico hanno subito il collettivismo come imposto e
non scelto , appena sono riusciti a liberarsi di quella cappa
opprimente conquistandosi uno spazio privato per sé e per la
propria famiglia, lo hanno difeso e lo difendono con le unghie e con
i denti (financo con le armi : non è forse una delle concause del
conflitto della ex -Iugoslavia? ). E chi non vive con me peste lo
colga...Comunque sia dell'egoismo famigliare son piene le fosse di
tutti i paesi del mondo specie occidentale. Don Zeno , fondatore di
Nomadelfia ne era ben consapevole e asseriva che l'egoismo famigliare
è peggio dell'egoismo individuale e questo io ben conosco avendo
vissuto gran parte della mia vita da single, come si dice ora . Ho
avuto amici anche vicini che più volte anche se in maniera sottile e
delicata mi hanno fatto sentire comunque esclusa dal loro nucleo
famigliare, in secondo piano , un outsider, anche se questo è un
mio connotato oltre che un altra storia che forse un giorno
racconterò, perché ci sono gli outsider e gli insider come ci sono
i nomadi e gli stanziali. Tornando all'egoismo famigliare sono anni
che proprio per la mia condizione di single ho cercato dei
riferimenti di tipo comunitario partecipando agli incontri degli
ecovillaggi, alle nove forme di cohousing e via cercando. Forse
profeticamente quando insegnavo negli anni cosi detti del movimento
uno dei temi che ho iniziato a trattare con la collaborazione dei
colleghi architetti era quello delle comunità utopiche da Tommaso
Moro, a Campanella, a Fourier alle esperienze americane dei
fuoriusciti quaccheri o metodisti delle religioni perseguitate. E
già allora il modello della famiglia mononucleare mi stava stretto.
Questo modello che nelle situazioni urbane e metropolitane di tutti i
continenti è stato vincente. Ricordo che la prima volta che sono
stata in Africa avevo letto un libro di un sociologo di nome
meilla...che sosteneva che chiunque avesse tentato di imporre il
modello mononucleare nel continente era un criminale perché il
modello originario africano era quello collettivo tribale dove vigeva
la solidarietà tra i membri . Sicuramente anche lì con
l'urbanizzazione forzata il modello mo nucleare si è affermato ma
questo solo per quanto riguarda le classi medie.
Tornando
a me che avendo vissuto gran parte della mia vita da single,come
sempre più accade a uomini e soprattutto donne delle città e non
solo, e non avendo trovato situazioni comunitarie di riferimento e
appartenendo a quella parte di ceto medio che si è proletarizzata
,come già prevedevamo negli anni '70 e non potendo permettermi che
una camera cucina e bagno, ho preferito prendere in affitto una casa
più grande e condividere le spese con altre persone o come si dice
più comunemente subaffittare . Così a Roma per vent'anni dove più
che altro ho condiviso con straniere-i ( da qui l'intercultura del
cesso ) come a Torino in una casa molto simile stesso corridoio e
stesso numero di camere . Nella mia memoria ora ci sono solo gli
ultimi subafittatori di quest'ultima perché quelli di Roma gli ho
messi tutti nel dimenticatoio, fatta eccezione per le belle amicizie
che da quelle convivenze sono nate lì e sono non a caso, in
particolare due una è messicana e l'altra è colombina . C'è in
quei luoghi un'affettività maggiore e una concezione più allargata
dei legami famigliari che ha forti basi culturali e ha resistito
nonostante la 'metropolizzazione'. Tornando alle problematiche
dell'abitare e delle solitudini metropolitane si sta di questi tempi
delineando un nuovo modo di abitare sia pur minoritario che va dal
socil housing al cohousing ad una altro esperimento nato a Roma . E
per buona sorte, ma mai sorte fu più cercata e forse meritata ci
sono delle fumate bianche anche per me che per molti anni della mai
vita dopo il periodo che io chiamo di nomadismo metropolitano, sento
il bisogno di trovarmi in un porto sicuro, aperto però e non chiuso
tra le mura di un appartamento. Un primo segnale simbolico che forse
il 'porto' è vicino è arrivato in occasione di un'iniziativa del
comune di Torino di cui riporto lo scritto già come si dice ora
'postato'.
Nemesi
Un
freddo pungente mi sferzava il viso l'altra mattina scendendo dal
tram che mi portava in Via Corte d'Appello . Via Corte d'Appello
Sì . Non sarà mica dove un tempo c'era il tribunale ?E come
un'onda che sommerge tutto quel che trova, sono arrivati i ricordi di
una mattina di quasi trent'anni fa quando in libertà provvisoria
entravo nello stesso androne per recarmi nell'aula dove si svolgevano
i processi.
' Si
intenta causa alla soprascritta per sospetta appartenenza a banda
armata ' era scritto sulla convocazione ( all'incirca perché l'ho
buttata via ) Ma ora e qui non ci sono i carabinieri e l'andirivieni
indaffarato degli avvocati con i loro clienti ansiosi che aspettano
il proprio turno del giudizio. C'è soltanto un usciere che indica la
direzione per il convegno sulle 'esperienze abitative differenti'
indetto tra gli altri dal programma housing della compagnia di S.
Paolo . Compagnia compagnie comunità ecovillaggi ecco di cosa si è
occupata la sospetta terrorista fin dai primi anni 70, quando una
provvisoria riforma della scuola mi aveva permesso di fare un lavoro
interdisciplinare con gli architetti ,con conseguente inchiesta sulle
case popolari e studio di un modo diverso di organizzazione sociale
dall'Utopia di Tommaso Moro alla 'Città del sole', Sette utopie
americane e cosi via. Sempre alla ricerca …Ma ora qui non c'è
l'utopia bensì le stesse autorità cittadine che ci parleranno di
diversi modi di abitare che non siano quelli dei condomini di folle
solitarie in cui le porte sono sempre più chiuse. Così ,non più
timorosa e ansiosa di sapere quale sarà il verdetto, ma incoraggiata
e curiosa per quanto verrà raccontato, entro in quella che fu l'aula
del tribunale e proprio lì dietro dove una volta si ergeva il banco
dei giudici con sopra scritto 'La giustizia è uguale per tutti', in
fondo sul muro c'è la proiezione del manifesto di convocazione in
cui insieme all'amica Piera del primo cohounsing di Torino, è
ritratta la sottoscritta .
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