Alla fine della proiezione il consueto applauso era inframezzato da molti fischi che sicuramente provenivano da persone che hanno fatto la scelta vegetariana come me- anche se devo confessare per amore di verità non completamente, perché di tanto in tanto mangio pesce di cui non si riconosce la forma -.
Tanti anni fa avevo un amico, poi morto tragicamente in un incidente stradale, che era conosciuto per mangiare la carne che non ricordasse la forma dell'animale, quindi solo bistecche o polpette o hamburger altrimenti si rifiutava perché gli faceva impressione - così diceva - .
La tesi che il film vuol dimostrare è che la gente quando va al supermercato compra la carne e non sa né vuole sapere che è appartenuta ad un animale .Quindi secondo la regista del film può continuare a mangiarla basta che sappia che è appartenuta ad un animale . A me pare che tutto ciò sia quello che si chiama e non a caso una questione di lana caprina o quanto meno una disquisizione psicologica per occidentali satolli e raziocinanti e mi viene in mente la definizione della Blavatsky, la fondatrice della società teosofica, che chiamava i carnivori mangiatori di cadaveri.
. Figuriamoci poi a quel tempo, cioè all'inizio del XX secolo,in cui non esistevano certo gli allevamenti intensivi degli animali. E' vero comunque che sempre di cadaveri si tratta che siano allevati bene o non .Trattasi comunque e sempre di falsa coscienza e ben poche persone facoltose si possono permettere la carne 'doc' sapendo da dove arriva, mentre quello che passa il convento per milioni di persone sono i cadaveri degli animali che sono nati cresciuti e riempiti di ormoni e di antibiotici per diventare carne da macello. Basterebbe far vedere in T.V uno di questi allevamenti cosiddetti intensivi di polli di maiali o di vitelli per dieci minuti alla settimana anche in modo subliminale, che sfido chiunque a insistere a mangiare carne perché non ne può fare a meno. Questo di fatto non succederà mai, perché ci sono troppi interessi coinvolti come in tutte le questioni agroalimentari delle multinazionali del cibo . E mi riferisco con questo al ruolo fondamentale che invece può avere un consumo parco e consapevole del cibo da dovunque provenga - come nel blog precedente ho mostrato. Una soluzione comunque la regista del film la fa intravedere, senza a mio parere dargli importanza dovuta, e cioè quando intervista il personale di un laboratorio in cui si fa la ricerca per la carne artificiale. Ma questa è un'altra storia e se tanto mi da tanto fino a ché il sistema economico non cambia, diventerebbe un'ulteriore occasione di profitti per le solite multinazionali del cibo.
Quel film mi ha fatto proprio incazzare, bello, ben fatto, bellezza della regista interprete che "buca", mi è piaciuto anche il percorso parallelo con la psicanalista. Ma poi che conclusione assurda: dopo che hai ammazzato l'animale, allora puoi mangiare la carne perché sei consapevole dell'assassinio. è quello che fanno anche i mafiosi, che istruiscono i giovani ad ammazzare un uomo qualsiasi o magari anche un parente, perché al secondo avranno già fatto l'abitudine ad ammazzare. Alla regista è bastata una pistolettata una sola volta per abituarsi. Giustamente dalla sala un commento evidenziava che nelle riprese non si vedono mai gli occhi dell'animale. Non c'è nessuna empatia. E poi ovviamente non si parla della distruzione dell'ambiente che stiamo facendo per sostenere gli allevamenti dove torturiamo gli animali che poi mangiamo. Guardatevi cowspiracy! e vedrete che smetterete di mangiare almeno le mucche e i vitelli. Quello sì è un film ambientalista. Ho visto in questa rassegna di cinemambiente 2016 una svolta vs storie di vita, sguardo antropologico e a volte nemmeno, ma quasi niente di critica ambientalista come era un tempo. Una nuova generazione? Certo che il film dulla carne poteva essere finanziato da una qualsiasi grande allevatore. Sì anche a me intriga la carne artificaile: i Masai lo fanno da secoli: un po' di latte e un piccolo salasso e la povera mucca resta in vita come fonte di vita.
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RispondiEliminaIo non ho visto quel film ma ada quello che leggo mi sembra una grande cazzata
RispondiEliminaIeri sera invece, grazie ad un'amica, ho visto quello Les Saison (le stagioni) dello stesso autore de Il popolo migratore. Uscirà a breve nelle sale e tornerò a vederlo con Gianni che se l'è perso.Semplicemente meraviglioso. E' la 'storia' per immagini del nostro territorio europeo visto dalla parte della Natura. Spettacolare e commovente, a tratti ironico a tratti disperante
RispondiEliminahttp://www.cinemambiente.it/film_ambiente/8358_LesSaisons.html
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